martedì 29 giugno 2010

lunedì 14 giugno 2010

Angelo Crazyone

Angelo è siciliano; Angelo è l'artista più giovane intervistato fino ad ora; Angelo sta studiando all'Accademia di Belle Arti di Palermo; Angelo ha esposto a Praga e a Vienna; nel 2008 Angelo è stato finalista al Concorso "Premio Celeste" e, nel 2010, finalista del Premio Arte Laguna" entrando nella selezione dei 15 migliori artisti Under 25; Angelo parla sottovoce ma sa come farsi sentire attraverso la sua arte...

Crazyone: il tuo nome d’arte ha una storia particolare?
E’ nato all’Istituto d’Arte: non ero un tipo tranquillo. Sono sempre stato molto geloso delle mie cose; qualcuno mi aveva detto che un ragazzo della scuola aveva staccato i miei stickers così, una volta in aula, ho spinto il responsabile del fatto su un cavalletto….Effetto domino, sono caduti tutti i cavalletti che erano nella classe. Quando la storia si è venuta a sapere, tutti hanno iniziato a dire che ero pazzo…Da qui: Crazyone!

Mi fai dei nomi di artisti che per te sono dei punti di riferimento?
Per adesso, sto cercando di mantenere una certa originalità, di fare cose che non siano ancora state viste in modo da contraddistinguermi. Ci sono naturalemente degli artisti che stimo però come: Banksy, Belin, Blu, Bros

Come definiresti il tuo stile?
Diciamo che si avvicina molto alla street art ma, non è un genere ben preciso… Io stesso, sto ancora cercando di capire in quale direzione muovermi. Avevo 16 anni quando ho iniziato dipingendo illegalmente sui muri, da allora – il mio – è uno stile che si sta via via evolvendo.


Quante multe per atti vandalici hai sul tuo CV?
Al momento tre. Degna di nota è quella di Caltanissetta: ero con altri due amici in una strada in costruzione dove abbiamo dipinto per ben tre anni. A lavori ultimati, mentre noi stavamo tracciando, è arrivata una volante della polizia. Ci hanno sequestrato quasi 100 bombolette…la cosa divertente è che una di queste si è bucata nelle mani dell’uomo della legge schizzandolo di colore. Naturalmente, ci hanno portati in questura…

Qual è la superficie su cui preferisci lavorare?
Mi piacciono i muri perché sono un’opera d’arte immobile, perché le dimensioni sono svariate e puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per creare ma, mi dispiace non poterli “trasportare”…Mi piacerebbe potesse esistere una via di mezzo tra il muro e la tela…

Quali sono le difficoltà maggiori che hai riscontrato sul tuo lavoro?
Il tempo: è quello che ti mangia, passa subito e io, vorrei averne di più!

A oggi, qual è l’esperienza di cui sei più soddisfatto?
Mi dico sempre che le esperienze devono ancora arrivare. Non mi piace molto vantarmi delle cose che faccio.

Perché hai deciso di esprimerti proprio attraverso questo mezzo?
Non so darmi delle risposte, so soltanto che l’arte è la mia sposa. Ci penso sempre: quando mangio, quando dormo e, come tutte le donne, ogni tanto, mi fa dannare!

A cosa stai lavorando adesso?
A dei lavori su commissione per una collettiva dal nome "Smash the wall down" che si terrà fino al 24 Luglio a Lecce, e poi ancora mi sto preparando alla Settimana dell'Arte organizzata dalla casa d'arte San Lorenzo, che avrà luogo a Santa Clara vicino Olbia.

Mi fai il nome di un amico artista?
Michela Forte

(appuntamento in San Babila in un giorno piovoso di un maggio novembrino: spritz, chiacchiere e pioggia, pioggia e ancora pioggia...ma tanta eh!!!!)

lunedì 26 aprile 2010

Angela Loveday

Angela ha appena finito di girare un videoclip musicale; Angela giocava a pallacanestro; Angela, da piccola, era una fan di Lady Oscar; Angela è molto determinata; Angela compirà 26 anni il 14 Maggio; Angela ha 15 tatuaggi sul corpo; Angela forse un giorno diventerà medico. Al momento però è una brava fotografa...

Secondo te, perché Marco Demis mi ha fatto il tuo nome?
Penso sia per il mio lavoro “Fear” nel quale ripercorro alcune dinamiche infantili: a lui è piaciuto molto, forse anche per il fatto che ci sono delle somiglianze con i suoi quadri.

Che macchina fotografica hai in borsa?
Nessuna, ma ho la mia agenda: se vedo qualcosa di interessante, prendo appunti e cerco di svilupparli in modo da creare qualcosa che abbia un significato espressivo. Non mi piace la fotografia d’assalto: non amo invadere la privacy delle persone.

Per te, fotografare è come….?
Fare sesso ma, meglio…
Quindi come fare l’amore?
Esatto, penso di essere più brava a “toccare” con gli occhi che con le mani.

Quando ti sei detta: da grande voglio fare la fotografa?
Due anni fa, quando ho capito che se non avessi fatto una determinata scelta, sarei rimasta in una sorta di limbo. Lavoravo per un’agenzia pubblicitaria e inizialmente mi piaceva tutto: dal visual, alla grafica al marketing. Scegliere significava per me restringere il mio campo di azione: non è stato facile. Una volta presa la decisione però, mi sono sentita meglio: è stato un atto liberatorio…

Quando è stato l’ultimo giorno che hai trascorso senza fare neppure uno scatto?
Oggi perché ero stanchissima.

Quanto ritocchi le tue foto?
Dipende da quello che voglio comunicare. Non vivo la postproduzione come ricerca della perfezione ma, come aggiunta di significato.

Come scegli i tuoi soggetti?
A pelle

Quando, per te, un volto è interessante?
Quando, attraverso l’espressività e attraverso le rughe mi racconta il vissuto di una persona. Anche quello che un volto non dice mi piace molto…

Quanto tempo dedichi allo studio e alla preparazione delle tue scenografie?
Il record è stato un mese di preparazione ma, in media ci impiego due settimane. Sono estremamente attenta ad ogni minimo dettaglio.

“Cosa penseranno gli altri del tuo lavoro”, ha mai influenzato quello che stavi facendo?
Ho vissuto fino ad adesso pensando a quello che poteva essere il giudizio degli altri ma, adesso, a 25 anni, sono cresciuta e non mi interessa più. Anche quando esprimono dei commenti sul mio lavoro, apprezzo di più chi mi dice: “Non mi piace!” piuttosto che “Io l’avrei fatto così…”

Tre caratteristiche che secondo te un buon fotografo dovrebbe avere…
Direi: sensibilità, rispetto – secondo me il vero fotografo non dovrebbe mai avere quello sguardo che in sociologia viene definito “pornografico” – e perseveranza, soprattutto di questi tempi. Se posso aggiungerne una quarta: botte di c**o pazzesche!

Ci sono diversi autoscatti tra i tuoi lavori: ti senti più a tuo agio dietro o davanti l’obiettivo?
Dietro! Davanti, solo se l’obiettivo è mio. Non amo essere fotografata da altri: non ho mai avuto un rapporto pacifico con il mio corpo.

Qual è il miglior sbaglio che tu abbia mai fatto?
Venire a Milano: è stata quasi una scelta obbligata. Mi sarebbe piaciuto andare a Londra. Prima di arrivare nel capoluogo meneghino, non avevo una buona impressione della città ma, era l’unica soluzione per poter restare vicino alla mia famiglia. Ero consapevole del fatto che mi sarei dovuta rimboccare le maniche ma, a oggi, sono molto soddisfatta dei risultati. Nell’ultimo anno ho fatto ¾ delle cose che sognavo quando ero piccola: compreso quello di realizzare un videoclip musicale.

A cosa stai lavorando adesso?
Ad una mostra sulla femminilità per una galleria di Treviso: Spazio Borgo Panigali. Si tratta di una personale in cui indagherò le dinamiche sociologiche ed emotive femminili. Quasi metà della mostra è già pronta; ho cercato di riprendere quei momenti molto intimi che solitamente le donne non amano mostrare e mi sono accorta che gli spazi in cui ti è concesso di essere veramente donna sono pochissimi.


Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Angelo Crazyone

(appuntamento in via Brioschi: artista puntualissima, intervistatrice in estremo ritardo...Presentazioni, 1 bicchiere di vino e 1 negroni, chiacchiere. Parlato di musica, di amici in comune, di femminilità, della famiglia....Domande, pausa sigaretta, ancora un negroni, ancora domande, ancora chiacchiere. Parlato di Mariangela Gualtieri e dello spettacolo "Passaggio con fratello rotto"; parlato di Diane Arbus e Newton, domande, cibo, telefono che suona, saluti....)

Angela la trovi qui

domenica 25 aprile 2010

Intermezzo # 4


Drawn by Opiemme
This is not a word # 2
"Ich Aut Art - Me or Art"
Artichaut Anagram

mercoledì 31 marzo 2010

Marco Demis

Marco è laureato in architettura; Marco usa colori Maimeri; Marco mi ha fatto cancellare una domanda di questa intervista; Marco ha buttato via un quadro su cui aveva lavorato circa sessanta ore; Marco sta lavorando ad una personale; gli ultimi suoi lavori hanno come tema "l'assenza". Qui, invece, c'è un pò della sua presenza...

Una cosa che fai sempre prima di metterti a dipingere?
Fumarmi una sigaretta, non ho altri rituali.

Siamo di fronte ad una tela bianca: mi racconti le varie fasi del tuo lavoro?
Non credo si debbano descrivere abitudini o passaggi, devono rimanere qualcosa di personale. Per la composizione non seguo schizzi preparatori, trovo più interessante compensare successivamente eventuali errori.

Nei tuoi disegni e dipinti, i soggetti sono quasi sempre femminili, perché ci sono pochissimi bambini maschi nei tuoi lavori?
Per una visione forse retrò di una figura spaesata, fragile. Ogni lavoro comunque è autobiografico, il soggetto è solo una scusa.

Che sentimenti trattengono i bambini che dipingi?
Gli ultimi lavori hanno come tema l'assenza e il non detto; non sono interessato all'espressione. Credo che l'opera seduca se il contenuto viene nascosto o suggerito. Nei soggetti che dipingo è come se ci fosse una rottura tra l'interno e l'esterno: lo sguardo non è rivolto ad un referente, ad una domanda o ad una analisi introspettiva. Lo sguardo diventa un guardare senza poter vedere, non per una mancanza del soggetto ma per un vuoto esterno.

Qual è il lato più infantile del tuo carattere?
Sono possessivo.

Quanto tempo dedichi alla ricerca del colore?
Al momento non uso più di tre/quattro colori: Bianco di Titanio; Nero d’Avorio; un azzurro di cui non ricordo il nome ma il numero - è il 405 – e, un blu che mi sono ritrovato per caso e che forse era meglio non trovare. Si potrebbe dire che è più difficile lavorare su una pittura tonale o monocromatica, come si potrebbe dire il contrario.

Qual è il tuo punto di forza nel lavoro?
Sto lentamente imparando ad essere meno sbrigativo: inizio un lavoro, lo tengo fermo per un po’, poi torno a lavorarci.

Hai delle particolari resistenze sul tuo lavoro?
A seconda dello stato d'animo: se devo dipingere, preferisco essere sereno; se invece devo disegnare, ottengo risultati migliori se sono alterato. Con la grafica preferisco usare materiali di recupero per non avere il timore di sciuparli con lo sfogo.

Qual è il lavoro di cui sei più soddisfatto?
Sono soddisfatto dei lavori più immediati, quelli che riesco a finire in poco tempo.


Qual è il gioco che ti piaceva di più quando eri bambino?
Impazzivo per i Lego ma, ancora di più mi piaceva giocare a nascondino.

A cosa stai lavorando adesso?
Ad una personale per la Galleria L’Immagine di Milano.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Angela Loveday

(Ritrovo in San Babila; camminato fino a Via Bellini; santoni sulla via; visto studio di Marco; visti i quadri di Marco; sigaretta; chiacchiere all'aria aperta; domande; scalino scomodo; visti ancora quadri di Marco; chiuso lo studio; camminata; caffè in corso di Porta Venezia; ancora chiacchiere; parlato di politica, di amici comuni, di Tamara Ferioli e Luca Beolchi, di paesi in cui sarebbe bello vivere, del prezzo della birra a Berlino; ancora una sigaretta; ancora una camminata; fermata del tram N° 9; saluti...)

Marco lo trovi qui

martedì 16 marzo 2010

Luca Beolchi

Luca è laureato in filosofia e, quando parla, fa continui riferimenti a Nietzsche; Luca lavora come illustratore per la Apparel Music; dal 1997 Luca tiene dei diari, leit motiv: considerazioni sul tempo che scorre; Luca è editore di Lobodilattice: un magazine di arte contemporanea; Luca odia le 18.00 del lunedì. Per fortuna, a queste domande, ha risposto di domenica...

Quanti anni hai quando disegni?
Non ho età, quando disegno sono senza riferimenti spazio temporali.

Esiste un termine per definire il tuo stile?
No, l’ansia di catalogazione è un esigenza che ha l’uomo di darsi un ordine. I miei disegni invece gridano il disordine. Sicuramente si possono trovare delle assonanze con il mondo del fumetto e dell’illustrazione ma, non sono né l’uno né l’altro. Se proprio devo darmi una definizione, allora, diciamo che sono un escapista: in costante fuga dalla realtà.

Come nascono i tuoi disegni?
Sono come poesia lirica, nascono da delle intuizioni e mi permettono di indagare territori che sono esplorabili solo attraverso il disegno: per territori intendo “il dentro”. Di fronte al foglio bianco io mi sento libero di fare quello voglio, disegnando posso dar forma a qualsiasi storia, a qualsiasi pensiero. I personaggi o le situazioni che creo, non riproducono la realtà, sono semplicemente la mia definizione di mondo. E’ come se, attraverso di loro, potessi dire: “io ci sono stato e il mondo, l’ho visto così”
Se sbagli, usi la gomma e correggi o butti via il foglio?
Correggo: uso gomma e matita proprio come un bambino. Faccio molti errori, cancello tantissimo: sbaglio e disegno di nuovo. Molti personaggi nascono proprio da questo. Ho un approccio sperimentativo con il disegno: mi piace creare cose nuove, non importa che siano perfette. E’ il passaggio “dal non essere all’essere” che mi interessa.

Esistono dei "disegni chiave "nel tuo lavoro, quelli che in un certo senso hanno segnato un punto di svolta?
Potrei dirti: Shine as normal dope. E' un disegno che ho fatto qualche giorno fa, ha un equilibrio formale interessante ed ha una campitura giusta.


Hai un sogno ricorrente?
Sì, la fuga: scappo sempre e non so da chi, perché nel sogno non vedo mai in faccia il mio inseguitore. Mi ritrovo in situazioni pazzesche: in condomini stranissimi , scavalco recinzioni, mi perdo negli ascensori. Mi vedo in alto, su tetti di palazzi, e poi giù, negli scantinati… La cosa bella e che mi rassicura è che quando nel sogno mi ritrovo davanti ad una porta chiusa, riesco sempre ad aprirla.

Se tu fossi un insegnante di disegno, alla prima lezione, cosa insegneresti ai tuoi studenti?
Farei una lezione introduttiva sul fatto che esiste la possibilità di esprimersi senza utilizzare la parola. Direi alla mia classe: “il vostro compito è quello di comunicare e per farlo, avete a disposizione un foglio e una matita; il tema del giorno è “Io oggi sono qui”. Più che sull’applicazione tecnica, cercherei di lavorare sulla coscienza di sé.

Acquarelli, matite, acrilici: con quale tecnica ti senti più a tuo agio?
Con le matite e gli acquarelli, perché parlano a bassa voce. Mi piace poi utilizzare colori che definisco “grunge” come il marrone e il verde marcio.


Se i tuoi disegni fossero un genere musicale?
Rigorosamente grunge. Se devo dire il nome di un gruppo: Radiohead.

Se ti piacciono i lavori di Luca Beolchi allora potrebbe piacerti anche…?
Marcel Dzama; Yoshitomo Nara, Amy Cutler.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?

Marco Demis

(Sole... Ritrovo in Porta Romana; visto lo studio di Luca; assalita da cane Bertrand Russel Beolchi; conosciuto gatta Lou Salomè Beolchi; sigaretta; domande; risate; parlato di amici comuni; visti disegni di Luca; visti i quadri, di Luca; sfogliato libro Vitamin D; parlato di "Lo squalo da 12 milioni di dollari"; caffè; fatto amicizia con cane Bertrand Russel Beolchi; metropolitana...sera)

Luca lo trovi qui

martedì 9 marzo 2010

Antonio Cataldo

Venezia, ore 13.10 di una domenica x, cielo grigio. Antonio è un artista visivo. L'incontro avviene nel piazzale antistante la stazione. Saluti & convenevoli, iniziamo a camminare per le calli veneziane. Antonio parla della sua famiglia e della Toscana dove è nato e dove ha vissuto fino all'età di quattro anni. Stop in San Giacomo dall'Orio per pranzo. Ci sediamo ad un tavolo all'aperto. Fumo di sigaretta. Antonio lavora allo IUAV ed è appena tornato da Oslo. Arriva il cibo: si chiacchiera a bocca piena. Antonio parla del suo studio, dei veneziani che non sanno cucinare e di un furto avvenuto in un suo vecchio appartamento. Arriva il conto ed un freddo più pungente. Antonio offre il pranzo. Ci alziamo e camminiamo ancora fino a quando, in Ramo Carminati, non ci infiliamo in un portone e saliamo...


Prima Pausa Attiva: Interno di un antico palazzo veneziano. Seduto sul pavimento, Antonio inizia a raccontare di un fatto piuttosto bizzarro avvenuto ad Algeri nel decennio precedente la Prima Guerra Mondiale. Qui, la moglie di un generale - supportata da Marthè, una famosa medium dell'epoca - era solita avere incontri piuttosto intimi con uno spirito. Si narra che lo spettro fosse un principe indù che rivedeva nella moglie del generale, la sua compagna perduta. "Vorrei che questo potesse diventare un lungometraggio, sto cercando finanziamenti": dice Antonio mostrando le tavole preparatorie di "Séances". La ricerca, che sta alla base di questo "film a venire", è ricca di fascino e prende avvio da una specifica inchiesta fotografica che, iniziata a metà dell'Ottocento, ebbe il suo apice nei primi decenni del 1900. L'obiettivo era quello di catturare sulla lastra fotografica, la materializzazione di un corpo. "Quello che mi interessa", ci tiene a spiegare, "non è l'esistenza o meno degli spiriti ma, il fatto che una collettività abbia potuto costruire un desiderio comune e materializzarlo e che la fotografia sia riuscita a documentare questo momento. Si tratta probabilmente dell'ultima volta in cui ci sia stata una connessione così stretta tra ricerca scientifica e ricerca visiva. Nel film, non si vedranno fantasmi: tutta la storia verrà ricostruita attraverso i dialoghi degli attori." Dal tetto arriva il garrito di un gabbiano: "devono aver fatto un nido lassù" dice, volgendo lo sguardo verso il lucernario. Quando i suoi occhi mi rimettono a fuoco, parto con le domande...

Da piccolo avevi un amico immaginario?
No, ce l'ho adesso...(ride) sono molto più piccolo ora di quando ero bambino.

Ti è mai capitato di svegliarti di notte per annotarti qualcosa?
Oh! E' una cosa che avrei sempre voluto fare. Quello che mi capita spesso invece è di sognare di aver risolto delle questioni relative al mio lavoro ma, quando poi mi sveglio, in realtà, ho già perso la soluzione.

Come arriva l'ispirazione o dove la cerchi?
Nel momento in cui si parla di ispirazione, c'è un sentito di ispirazione romantica. Non ho mai creduto nell'atto creativo ma, piuttosto, in delle "problematiche" che ti poni e tenti di risolvere. E' il "come"- questo rimando di questioni e possibili soluzioni - a far sì che un lavoro prenda forma. Il risultato finale altro non è che un "residuo": la concretizzazione momentanea di un pensiero in atto.

Quando una storia vale la pena di essere raccontata?
Molto spesso, le storie sono interessanti per "come" vengono raccontate; l'evento è sempre parte di una mescolanza di storie più ampie. Non credo esistano dei fatti assoluti, ma che questi siano sempre costruzione e mediazione di eventi, e di per sè, quando ci arrivano sono già una storia narrata. A partire da questo, tutte le storie -o nesuna- possono essere interessanti. E' la possibilità di de-costruirle e de-strutturarle ad essere stimolante, perchè permette di creare pensieri e relazioni attraverso delle aperture che contengono al loro interno.

Tre elementi fondamentali al fine di realizzare un buon video.
Non è semplice, significherebbe aver trovato una formula. Esistono elementi fondamentali con cui lavori continuamente, il montaggio, ad esempio, è uno dei momenti più interessanti che, legato ad un principio di associazione ti permette di mettere insieme – materialmente – parti diverse che apparentemente potrebbero non avere nessuna connessione diretta. Questo, consente di creare un nuovo pensiero su un qualcosa che sembrava avere già una soluzione definita. Il terzo elemento potrebbe essere “il conflitto”: una sorta di tensione che si crea tra te e il tuo lavoro, e che resta all’interno delle immagini. E’ come se continuassi a chiederti: perché devo arrivare ad una discorsività proprio con questo determinato tipo di mezzo?

Seconda Pausa Attiva: Antonio mi mostra "Un giorno in un condomio orizzontale" un video da lui realizzato nel 2007, di cui sotto uno still.


Appoggio le cuffie sulla scrivania e Antonio ricomincia a parlare: “Non ho mai ritenuto interessanti quelle immagini di per sé nella loro totalità; è proprio per questo che ho pensato di intervallarle con uno spazio nero. Quei frame in cui sembra che non si veda nulla in realtà occupano lo spazio necessario alla creazione di quelle immagini che continuano a svilupparsi nella tua mente e che vanno a colmare anche un’assenza nelle parole, nei racconti dei sei personaggi che nascondono molto di più di quello che dicono. Singolare è il fatto che io mi trovassi lì, in quel piccolo paese, per sviluppare un altro lavoro; che avessi con me – proprio in quel momento - una telecamera che avrei potuto benissimo non avere, e che le immagini che sono riuscito a raccogliere non fossero assolutamente descrittive dell’evento. Non è unicamente nell’esistenza della registrazione di quelle immagini che puoi capire ciò che è appena avvenuto in quel lago” Siamo di nuovo seduti per terra, ricomincio a far domande:

Casualità, coincidenze, inaspettato: cosa preferisci?
Non mi dai possibilità di scelta in questa domanda. In ognuno dei tre i casi, il movimento ti colpisce e ti travolge dall’esterno verso l’interno. Pensare in termini di coincidenze o casualità è come mettersi in una posizione passiva nei confronti del tuo intorno. Credo invece che ci sia bisogno di creare un duplice movimento nei confronti della realtà, includendone anche uno che dall’interno si muova verso l’esterno. Possiamo chiamarla presa di posizione, ma anche semplicemente la resistenza di un corpo rispetto a un evento esterno, è una forma di contro-bilanciamento e di “presa” nei confronti della realtà.

Chi sono i fruitori del tuo lavoro?
Sicuramente le persone con cui posso parlare di quello che faccio. Ma il lavoro potrebbe anche essere una scusa per attivare altri canali di pensiero. Un po’ come quello che tu stai portando avanti in questo momento, no?

Il momento del tuo lavoro che preferisci?
Pensare a dei progetti che non realizzerò mai.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Mariagiovanna Nuzzi

Ci alziamo da terra, riprendiamo le scale: quattro piani, e siamo di nuovo in strada…

(Comparse: passanti veneziani; un artista di strada dall’aspetto felliniano, alto non più di un metro e cinquanta con un imbuto in testa indossato come cappello e un grosso tamburo sulle spalle; Ana Maria, seduta su una sedia – con un computer sulle ginocchia – nello studio di Antonio per tutto il tempo dell’intervista)

domenica 7 marzo 2010

Intermezzo # 3


Drawn by Andrea Koes
Ancora un amico da INFART

lunedì 1 marzo 2010

Tamara Ferioli

Non ho visto i suoi occhi, non ho visto le sue mani, non ho visto i suoi capelli rossi. Ho solo le oltre dieci mail che ci siamo scambiate. Io, Tamara non l'ho incontrata, spero solo di non averla immaginata...

Se ci fossimo incontrate – magari nel tuo studio – cosa mi avresti offerto da bere?
Un thè se fossi venuta prima delle 19, un bicchiere di vino se fossi arrivata dopo…

Capelli, vino, thè: sono materiali che hai utilizzato per i tuoi lavori. Hai aggiunto qualche “ingrediente” ai quadri a cui stai lavorando adesso per la tua personale?
Da tempo non utilizzo più né vino né thè per poterli offrire a chi mi viene a trovare. Non posso anticipare nulla perché alcuni elementi si stanno aggiungendo ed altri spontaneamente sottraendo. Non amo inserire cose superflue, quello a cui voglio arrivare è l’essenza dell’invisibile: per invisibile intendo tutte quelle sensazioni vibranti indescrivibili. Racchiuderle nelle parole equivarrebbe a seppellirle.

Quali sono i cinque oggetti più vicini a te adesso che stai rispondendo alle domande?
Calamite, xilofono a forma di mucca, tazza, matite, boccetta per fare bolle di sapone.

Fili, ragnatele, rami: perché le donne che disegni, rimangono sempre impigliate in qualcosa o i loro movimenti sono costretti?
Perché incarnano perfettamente certe cose, persone o situazioni che abitano il ‘mondo indescrivibile’: quello che sarebbe un ‘peccato’ descrivere.

E perché non mostrano mai il volto?
Si nascondono ma allo stesso tempo si mostrano, i capelli sono la loro carta d’identità, sono i più antichi tessuti dai quali si sono ricavate finora sequenze di DNA. Non mostrano il volto perché non è necessario, come ho già detto, evito sempre di inserire cose per me superflue. L’atto comunicativo è concentrato in tutta la loro anatomia, negli animali e vegetali che incontrano-scontrano durante il loro ‘cammino’.

Quante volte hai sorriso oggi?
Consapevolmente neanche una, inconsapevolmente non lo posso sapere. Ad ogni modo so di aver sorriso diverse volte.

Qual è la cosa che ti infastidisce di più quando stai lavorando?
Il telefono che squilla, le voci umane. Mentre sono in ‘transfert’ necessito di silenzio assoluto o musica capace di condurre.

Candido, tormentato, poetico, seducente, fiabesco: quale di questi aggettivi, secondo te, si addice di più ai tuoi lavori?
Non credo che tutti i miei lavori siano associabili ad un solo, ed allo stesso, aggettivo per lungo tempo.

Ti mangi le unghie?
Ora non più. Quando ero piccola neanche lo smalto amaro era in grado fermarmi, ho dovuto smettere di mia spontanea volontà.

Una donna a cui guardi con ammirazione oggi?
La nonna

Un vizio a cui sei affezionata?
Non utilizzare guanti protettivi mentre lavoro

Non ti innamoreresti mai di un uomo….?
…tipicamente umano.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Luca Beolchi

(Recupereremo presto l'incontro non avvenuto. Ho un invito ad andare a trovare Tamara nella sua tana-studio. Lo farò presto e il vino, lo porterò io...)

Tamara la trovi qui

martedì 16 febbraio 2010

Intermezzo # 2

photographed by Luca Cingano
Fino al 25 Febbraio, Luca lo trovi qui
Al momento dello scatto - i presenti giurano - il carciofo ha fatto cheeeeeeeseeee

domenica 14 febbraio 2010

Intermezzo


They're only crayons. You didn't fear them in kindergarten, why fear them now? It's up to you!
Disegnami un carciofo, invialo qui: infoartichaut@gmail.com

lunedì 8 febbraio 2010

Federico Romero Bayter

Breve premessa: seguendo le regole del gioco, qui avrebbe dovuto esserci l'intervista ad Antonio Cataldo. Al momento però, Antonio non è in Italia, rientrerà a Venezia a fine febbraio. Nel frattempo io, che non so aspettare, ho incontrato Federico Romero Bayter...il gioco del carciofo non si ferma.

Federico è nato a Bogotà. Federico è un pittore. Federico non ha ancora compiuto 30 anni e vive in Italia da quando ne aveva 14. Federico non è più tornato in Colombia da allora. Federico tifa Genoa. Federico dipinge su tele di canapa e lino trattate con colla sintetica. Federico legge in media quattro libri al mese. Federico ha gli occhi verdi e una bocca più grande di quella di Mick Jagger. Qualche anno fa ad ArteGenova, avevo notato i suoi quadri. Coincidenza: mesi dopo, ci siamo ritrovati seduti accanto sullo stesso treno. Proprio su un treno, Federico ha risposto a queste domande:

FEDERICO ROMERO BAYTER: non ti senti una rockstar con questo nome?
(ride) Non mi vedì già sui libri di storia dell'arte?

Da piccolo volevi fare il pittore?
Sì, era il mio sogno, non facevo altro che disegnare. Ero piccolo -forse avevo 6/7 anni - quando mi regalarono il mio primo libro su Michelangelo e Raffaello. A 10, uno su Velasquez: ne rimasi folgorato. Credo però di aver avuto la piena consapevolezza che volevo fare il pittore a 22 anni quando sono stato in Spagna, a Granada, per l'Erasmus. Lì ho avuto il mio primo studio, che poi era anche la mia stanza. Il cielo di Granada farebbe desiderare a chiunque di diventare pittore...

Come definiresti il tuo lavoro?

Sono un imbianchino di lusso.

C'è sempre "acqua" nei tuoi lavori. Perchè?

Perchè c'è acqua nei luoghi a cui sono particolarmente legato: Bogotà, Genova, Barcellona, Venezia. E forse perchè non so nuotare molto bene...

Tu hai fatto l'accademia, cosa pensi di artisti che provengono da altri percorsi?
Che sono fortunati... A Bacon mancava forse qualcosa? L'Accademia purtroppo ha delle mancanze soprattutto per quanto riguarda la tecnica di base. Ti dicono e ti ripetono che devi essere un bravo pr con critici e galleristi, avrei preferito mi avessero insegnato ad usare la vernice finale o che mi avessero spiegato come montare un telaio. Io questo l'ho imparato da un amico restauratore. Per distruggere dei codici devi conoscere quei codici e l'Accademia pur dandoti molto, non ti completa nella preparazione.

In quale, di queste citazioni ti riconosci?

-"Le persone in genere non sono così brutte come vengono ritratte" P.Picasso -"Se creo qualcosa usando il cuore, facilmente funzionerà. Se invece uso la testa, sarà molto difficile" M.Chagall
-"Sono una delle persone più gelose al mondo. La mia mano destra è gelosa della sinistra se dipinge un bel quadro" A.Warhol

Sono d'accordo con Chagall, pur non amandolo particolarmente.

Il momento del tuo lavoro che ti piace di più?

Quando comincio un nuovo quadro perchè è come iniziare a fare l'amore.

A cosa stai lavorando adesso?

Ad una serie di incisioni per una Stamperia storica di Milano. Acqueforti e acquetinte: ricavo delle incisioni dai miei disegni poi, come i vecchi artisti, supervisiono il lavoro. Si occupano loro della morsura della lastra nell'acido, della pulitura e della stampa.

Genova è spesso nei tuoi quadri, cosa ti piace di più di questa città?

I quadri di Van Dick e Rubens che molti genovesi non sanno di avere in città.

La tua ora ideale per dipingere?

Al mattino!

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Tamara Ferioli

(Ritrovo primo pomeriggio in stazione centrale a Milano. Deciso di non partire per Genova. Camminato. Stop in un bar in zona isola, bevuto bicchiere di vino. Parlato della Colombia, di Pablo Escobar, di Cuba, di Fidel Castro, di istruzione gratuita. Disegnata mappa del Sud America. Usciti dal bar. Camminato. Parlato della Galleria Rotta di Genova. Di nuovo Stazione Centrale. Preso treno per Piacenza. Parlato di Jodorowsky e sogni lucidi, parlato di favole, scoperto che Alice nel Paese delle Meraviglie era castana e non bionda. Stazione di Piacenza. Camminato. Vista Galleria Nuovospazio. Visti quadri di Federico. Conosciuto Loretta. Riso con Loretta. Conosciuto Alfredo Casali. Camminato. Bevuto cioccolata calda. Preso treno per Milano. Parlato di libri, Flamenco e Paco De Lucia. Visto il taccuino con i disegni di Federico. Cena in Porta Romana: cacio e pepe, vino, dolce e Agricanto. Camminato, camminato e ancora camminato...)


Federico Romero Bayter lo trovi qui

mercoledì 27 gennaio 2010

Matteo Nuti

Matteo dipinge in ginocchio come un musulmano che prega, Matteo ha un bel sorriso, Matteo lavora come visualizer per un agenzia pubblicitaria, Matteo si sta facendo crescere la barba, Matteo in casa ha uno sposacenere(che invidia!), Matteo non sa dove sarà tra cinque anni. Nell’attesa, qui, c’è un po’ di Matteo:

Immagina che io sia una bambina di 7 anni: prova a spiegarmi quello che fai…
E se regalassi una Barbie a questa bambina? Non so, sarei in difficoltà...non credo sia giusto scoprire certe cose a sette anni. Per parlare di quello che faccio dovrei parlare di quanto ho potuto sceglierlo. Spesso le persone che guardano un artista - e non mi piace il termine artista - pensano che sia fortunato, appagato da quello che fa. Ma, se quello che fa non fosse una scelta?

I tuoi quadri sono molto tecnici. Che studio c’è dietro il tuo lavoro?
Ho pensato prima a dei punti cardinali che fossero legati alle cose che mi piacevano – per esempio: se disegno, mi viene da disegnare una figura, un soggetto umano – poi ho pensato: come faccio a rendere questa cosa alla portata di tutti? Da qui: la geometria e la casualità. La geometria perché è semplice, oggettiva: un quadrato può disegnarlo chiunque. La casualità perché è la totale assenza di regole e, nella totale assenza di regole tutti quanti abbiamo le stesse possibilità.

Raccontami cosa succede quando ti metti a lavoro.
Potrei essere in montagna come al mare, in mezzo alla gente, nel deserto o ad un rave: quando dipingo è come se fossi da un’altra parte in una sorta di apnea. Lavoro per una/due ore, poi mi fermo, riprendo fiato e poi, ci ricado di nuovo.

C’è spazio per l’improvvisazione nei tuoi lavori?
E’ tutta improvvisazione, non programmo niente. Faccio tutto in scala 1:1; se tu sei il mio soggetto, prendo le misure della tua testa dopodichè scatto delle fotografie. Ridisegno te geometricamente ma in maniera verosimile. Lavoro su dei supporti trasparenti, su di un lato disegno la geometria mentre sull’altro spargo la vernice in maniera casuale, dimenticandomi totalmente della figura. Poi, inizio a cancellare la geometria e la ricostruisco su alcune tracce della pittura casuale. A questo punto diventa un gioco di compensazione: cancello l’una e ricostruisco l’altra e viceversa. Posso lavorare per mesi su di un quadro e, a volte, può succedere che dopo tre mesi io butti via tutto. Quando mi separo dal lavoro è perché si crea una situazione di stallo in cui io non vedo più niente. Non lo decido io quando un quadro è finito, è finito quando non abbiamo più niente da dirci, quando arriva quel momento in cui smetti di fare e cominci a guardarlo. E lo guardi per tanto....

Se perdessi la tua abilità creativa cosa faresti per guadagnarti da vivere?
Ho fatto l’imbianchino e il piastrellista prima, credo che tornerei a fare una cosa del genere. Sceglierei comunque un lavoro in cui poter usare le mani.

Ti ha chiamato qualcuno oggi? Cosa hai scarabocchiato mentre eri al telefono?
Non ho scarabocchiato.

Cosa ti mette di buonumore?
Non una sorpresa ma qualcosa che mi sorprende. Quella cosa che non ti aspettavi che potesse capitare in una giornata. Anche annoiarmi mi mette di buonumore.

A cosa stai lavorando adesso?
A niente.

Il lavoro di cui sei più soddisfatto?
Di tutti i miei lavori sono soddisfatto...per i primi due mesi! Dopo inizio a vedere dove, secondo me, ho fatto degli errori e, se avessi ancora con me quel quadro ricomincerei a lavorarci.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Antonio Cataldo.

(durante questa intervista è stata consumata una cena al Kitchen, bevuto molto vino, fumate N° ??? sigarette, parlato di nipoti, di putrelle e di un soppalco che potrebbe sprofondare sotto i miei piedi, di termosifoni con effetti ottici non dovuti all’effetto dell’alcol. Vista casa di Matteo, sfogliato un vecchio numero di Rolling Stone, parlato di Hans Ulrich Obrist e di Cedric Price, parlato di Jeff Koons e Cicciolina, parlato di Moana Pozzi, parlato di De Andrè e Lucio Dalla, sorriso per la “puttana ottimista e di sinistra” di “Disperato erotico stomp”; sfogliato Le Dictateur, cercati video su youtube, googleggiato, parlato di uno street artist che Matteo vorrebbe investire con l'auto, sorriso, parlato de “La variente di Lüneburg”. Ascoltato: Rustie, Sting - “if on a winter’s night…” intero album -, Subsonica, Dresden Dolls, Telephone Tel Aviv, Terranova. Chiamato un taxi ad un ora imprecisata)

Matteo lo trovi qui

venerdì 15 gennaio 2010

Bea de Giacomo

Bea è una fotografa, Bea ha ventotto anni, Bea ha il volto più bello del mondo, Bea adora gli unicorni, Bea vuol comprarsi un ukelele, Bea un giorno andrà a vivere in una roulotte in mezzo alla natura, Bea la conosco da quando aveva i dread, Bea è questa:

Qual è stata la prima foto tua che ti è piaciuta?

Non ricordo la prima che mi è piaciuta, mi viene in mente la prima che ho stampato però: era in bianco e nero. Avevo fotografato il mio fidanzato di allora; ci eravamo appena svegliati ed eravamo ancora nudi nel letto. L’ho fotografato di schiena… Risultato soddisfaciente!


Qual è la macchina fotografica a cui sei più affezionata?

E’ la Contax T2: è una compatta a pellicola degli anni ’80. Mi piace perché è piccola e la puoi portare in giro comodamente e poi, è automatica e questo ti permette di fare foto al volo senza preoccuparti troppo della tecnica. Le macchine “professionali” ti costringono in qualche modo a fare lavori più “programmati”, studiati in base al risultato che vuoi ottenere. La Contax invece ti permette di essere nel momento, di fotografare la realtà e ottenere un risultato più intimo.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti?
Spazi, panorami, natura, meglio se con una figura umana all'interno


Qual è la cosa più bella che hanno detto di te?
Che sono un genio

Cosa succede fisicamente quando ti ritrovi di fronte ad un soggetto da fotografare?
Dipende dal soggetto…. Se si tratta di un ritratto, provo qualcosa di simile a un “senso di vergogna” : la persona ritratta è lì davanti a me e, mi guarda, in qualche modo si aspetta qualcosa. In quel momento è come se fossi io al centro dell’attenzione anche se sono dietro l’obiettivo. e io, sono una persona timida, non amo avere gli occhi puntati addosso. A volte può accadere anche che mi tremino le mani ma, è un attimo. Un’altra cosa curiosa che mi succede è che smetto di respirare. Sì, nell’attimo in cui scatto, smetto di respirare e - le persone che fotografo - mi dicono che sorrido.

Quando, sei contenta di te?
Quando seguo il mio istinto e faccio cose che, apparentemente, non sembrano le più adeguate ma poi sono apprezzate.

Una volta scattata una foto, quanto ci lavori dopo?
Non molto… Lavoro principalmente in pellicola, quindi poi scansiono le foto e le rendo digitali. Sistemo il file dopo la scansione, e, devo ammetterlo: ogni tanto devo raddrizzare l’orizzonte...

Il tuo sogno, sarebbe fotografare…?
Lo spazio, dallo spazio.

Il motto della Bea è?
In ordine sparso: Facciobrutto!; “Ama tutti credi a pochi e non far del male a nessuno”; Non pensarci…

Luce preferita?
In controluce


Mi dai il nome di un tuo amico artista?
Matteo Nuti

(durante questa intervista sono state bevute due bottiglie di vino, fumate sei sigarette a testa, mangiate due pizze, fatta una videochiamata, aggiornato svariate volte il profilo su facebook, ricevuta una telefonata anonima, visti N° tot video su youtube, letto delle vecchie lettere, andate due volte in bagno e ascoltato Chopin, Beatles, Explosions in the sky, Apostle of Hustle, Devendra Banhart, Fink, Smith Westerns, Sufjan Stevens, Sam Yahel, Kate Nash, Flaming Lips. YEP!)

Bea la trovi qui