martedì 9 marzo 2010

Antonio Cataldo

Venezia, ore 13.10 di una domenica x, cielo grigio. Antonio è un artista visivo. L'incontro avviene nel piazzale antistante la stazione. Saluti & convenevoli, iniziamo a camminare per le calli veneziane. Antonio parla della sua famiglia e della Toscana dove è nato e dove ha vissuto fino all'età di quattro anni. Stop in San Giacomo dall'Orio per pranzo. Ci sediamo ad un tavolo all'aperto. Fumo di sigaretta. Antonio lavora allo IUAV ed è appena tornato da Oslo. Arriva il cibo: si chiacchiera a bocca piena. Antonio parla del suo studio, dei veneziani che non sanno cucinare e di un furto avvenuto in un suo vecchio appartamento. Arriva il conto ed un freddo più pungente. Antonio offre il pranzo. Ci alziamo e camminiamo ancora fino a quando, in Ramo Carminati, non ci infiliamo in un portone e saliamo...


Prima Pausa Attiva: Interno di un antico palazzo veneziano. Seduto sul pavimento, Antonio inizia a raccontare di un fatto piuttosto bizzarro avvenuto ad Algeri nel decennio precedente la Prima Guerra Mondiale. Qui, la moglie di un generale - supportata da Marthè, una famosa medium dell'epoca - era solita avere incontri piuttosto intimi con uno spirito. Si narra che lo spettro fosse un principe indù che rivedeva nella moglie del generale, la sua compagna perduta. "Vorrei che questo potesse diventare un lungometraggio, sto cercando finanziamenti": dice Antonio mostrando le tavole preparatorie di "Séances". La ricerca, che sta alla base di questo "film a venire", è ricca di fascino e prende avvio da una specifica inchiesta fotografica che, iniziata a metà dell'Ottocento, ebbe il suo apice nei primi decenni del 1900. L'obiettivo era quello di catturare sulla lastra fotografica, la materializzazione di un corpo. "Quello che mi interessa", ci tiene a spiegare, "non è l'esistenza o meno degli spiriti ma, il fatto che una collettività abbia potuto costruire un desiderio comune e materializzarlo e che la fotografia sia riuscita a documentare questo momento. Si tratta probabilmente dell'ultima volta in cui ci sia stata una connessione così stretta tra ricerca scientifica e ricerca visiva. Nel film, non si vedranno fantasmi: tutta la storia verrà ricostruita attraverso i dialoghi degli attori." Dal tetto arriva il garrito di un gabbiano: "devono aver fatto un nido lassù" dice, volgendo lo sguardo verso il lucernario. Quando i suoi occhi mi rimettono a fuoco, parto con le domande...

Da piccolo avevi un amico immaginario?
No, ce l'ho adesso...(ride) sono molto più piccolo ora di quando ero bambino.

Ti è mai capitato di svegliarti di notte per annotarti qualcosa?
Oh! E' una cosa che avrei sempre voluto fare. Quello che mi capita spesso invece è di sognare di aver risolto delle questioni relative al mio lavoro ma, quando poi mi sveglio, in realtà, ho già perso la soluzione.

Come arriva l'ispirazione o dove la cerchi?
Nel momento in cui si parla di ispirazione, c'è un sentito di ispirazione romantica. Non ho mai creduto nell'atto creativo ma, piuttosto, in delle "problematiche" che ti poni e tenti di risolvere. E' il "come"- questo rimando di questioni e possibili soluzioni - a far sì che un lavoro prenda forma. Il risultato finale altro non è che un "residuo": la concretizzazione momentanea di un pensiero in atto.

Quando una storia vale la pena di essere raccontata?
Molto spesso, le storie sono interessanti per "come" vengono raccontate; l'evento è sempre parte di una mescolanza di storie più ampie. Non credo esistano dei fatti assoluti, ma che questi siano sempre costruzione e mediazione di eventi, e di per sè, quando ci arrivano sono già una storia narrata. A partire da questo, tutte le storie -o nesuna- possono essere interessanti. E' la possibilità di de-costruirle e de-strutturarle ad essere stimolante, perchè permette di creare pensieri e relazioni attraverso delle aperture che contengono al loro interno.

Tre elementi fondamentali al fine di realizzare un buon video.
Non è semplice, significherebbe aver trovato una formula. Esistono elementi fondamentali con cui lavori continuamente, il montaggio, ad esempio, è uno dei momenti più interessanti che, legato ad un principio di associazione ti permette di mettere insieme – materialmente – parti diverse che apparentemente potrebbero non avere nessuna connessione diretta. Questo, consente di creare un nuovo pensiero su un qualcosa che sembrava avere già una soluzione definita. Il terzo elemento potrebbe essere “il conflitto”: una sorta di tensione che si crea tra te e il tuo lavoro, e che resta all’interno delle immagini. E’ come se continuassi a chiederti: perché devo arrivare ad una discorsività proprio con questo determinato tipo di mezzo?

Seconda Pausa Attiva: Antonio mi mostra "Un giorno in un condomio orizzontale" un video da lui realizzato nel 2007, di cui sotto uno still.


Appoggio le cuffie sulla scrivania e Antonio ricomincia a parlare: “Non ho mai ritenuto interessanti quelle immagini di per sé nella loro totalità; è proprio per questo che ho pensato di intervallarle con uno spazio nero. Quei frame in cui sembra che non si veda nulla in realtà occupano lo spazio necessario alla creazione di quelle immagini che continuano a svilupparsi nella tua mente e che vanno a colmare anche un’assenza nelle parole, nei racconti dei sei personaggi che nascondono molto di più di quello che dicono. Singolare è il fatto che io mi trovassi lì, in quel piccolo paese, per sviluppare un altro lavoro; che avessi con me – proprio in quel momento - una telecamera che avrei potuto benissimo non avere, e che le immagini che sono riuscito a raccogliere non fossero assolutamente descrittive dell’evento. Non è unicamente nell’esistenza della registrazione di quelle immagini che puoi capire ciò che è appena avvenuto in quel lago” Siamo di nuovo seduti per terra, ricomincio a far domande:

Casualità, coincidenze, inaspettato: cosa preferisci?
Non mi dai possibilità di scelta in questa domanda. In ognuno dei tre i casi, il movimento ti colpisce e ti travolge dall’esterno verso l’interno. Pensare in termini di coincidenze o casualità è come mettersi in una posizione passiva nei confronti del tuo intorno. Credo invece che ci sia bisogno di creare un duplice movimento nei confronti della realtà, includendone anche uno che dall’interno si muova verso l’esterno. Possiamo chiamarla presa di posizione, ma anche semplicemente la resistenza di un corpo rispetto a un evento esterno, è una forma di contro-bilanciamento e di “presa” nei confronti della realtà.

Chi sono i fruitori del tuo lavoro?
Sicuramente le persone con cui posso parlare di quello che faccio. Ma il lavoro potrebbe anche essere una scusa per attivare altri canali di pensiero. Un po’ come quello che tu stai portando avanti in questo momento, no?

Il momento del tuo lavoro che preferisci?
Pensare a dei progetti che non realizzerò mai.

Mi fai il nome di un tuo amico artista?
Mariagiovanna Nuzzi

Ci alziamo da terra, riprendiamo le scale: quattro piani, e siamo di nuovo in strada…

(Comparse: passanti veneziani; un artista di strada dall’aspetto felliniano, alto non più di un metro e cinquanta con un imbuto in testa indossato come cappello e un grosso tamburo sulle spalle; Ana Maria, seduta su una sedia – con un computer sulle ginocchia – nello studio di Antonio per tutto il tempo dell’intervista)

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